L’altra terra di Daniele Camaioni, per quanto possa essere inquietante non è la copia del nostro pianeta come accade nel film di Mikle Cahill ma si riferisce, almeno cosi sembra, a un “mondo senza di noi”, un mondo deumanizzato causato da trasformazioni prodotte dalla stessa umanità. Colpevole di aver generato, con il proprio intervento, una crisi ecologica irreversibile senza pensare alla minaccia delle propria estinzione.
Come il titolo dell’opera può alludere, sembra siano stati commessi molti atti distruttivi a causa di un uso indiscriminato dell’industria nucleare.
Eppure, “anche se abbiamo commesso atti molto distruttivi e danni al lungo termine, anche se abbiamo cancellato intere specie, la Terra sarebbe in grado di curarsi (…) persino a Chernobyl, su quei suoli cosi gravemente. Contaminati, sono comparse forme di vita capaci di prosperare”.
Nonostante l’ipotesi catastrofica quanto apocalittica della fine per la nostra specie, non lo è per il Pianeta il quale, come affermato Weisman, è in grado di auto rigenerarsi grazie all’energia di cui è dotato.
In realtà la trasformazione della materia, in questo caso non avviene per cause calamitose ambientalistiche, ma per la manipolazione di elementi che conosciamo benissimo poiché attraverso di essi noi ci alimentiamo, viviamo, ci ammaliamo ma ci guariscono.
Il cibo, da sempre ispiratore di immagini che esprimono la ricchezza della terra, diventa elemento artistico e veicolo di nuovi significati.
Il fantafood di Camaioni nasce in cucina, dove alimenti plasmati, sciolti, tagliuzzati, scolpiti e poi composti, creano scenari innovativi di grande suggestione. Questi saranno immortalati da un veloce scatto fotografico nel momento del loro massimo splendore, prima che qualsiasi segno di freschezza possa sparire.
Poi senza snaturare l’immagine, l’artista migliora la resa fotografica attraverso la rielaborazione digitale, cercando di completare l’opera con sensibilità e gusto estetico con cui guidare il nostro proposito narrativo. Il commestibile con le sofisticate quanto misteriose composizioni con accostamenti e architetture imprevedibili, rappresentano nuovi paesaggi, trasmettendo cosi messaggi diversi sul valore simbolico e spirituale del cibo, e dunque sulle responsabilità che abbiamo verso la natura.
In Nuclearland siamo davanti all’alba di una nuova terra con un cielo vinoso che profuma di tramonto e si riflette sulle acque sciroppate di un fiume dolciastro, dove galleggiano centrini vetrosi di zucchero in cui sorgono palazzi di carota senza occhi.
Sul fondo un ponte trasparente sostiene tutta la leggerezza di una cupola al rovescio, cristallizzata nel movimento di caduta dalla propria stella.
I colori caldi suggestionano un certo appetito visivo tanto da spingersi oltre e assaporare una dimensione metafisica come un sogno ad occhi aperti, ipnotizzati dalla raffinata atmosfera che l’opera riesce a diffondere.
Così mentre si aggira lo sguardo tra i dolci intrecci spigolosi simili a delicati vetri di Murano, s’immagina di sentire il profumo inebriante del caramello che eccita la gola e il pensiero, quasi a soddisfare l’innato istinto di ricerca del dolce, e contemporaneamente smorzare i sapori amari e aspri come a volte sono quelli della vita.
Nikla Cingolani
Guarda l’opera Nuclearland in The Human Revolution
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